Fino agli anni 50 la sua popolazione, grazie alla conformazione del territorio, ricco di foreste che ne rappresentano l'habitat ideale, era diffusa quasi capillarmente.
Con il passar degli anni si assistette ad una riduzione drastica dei vari esemplari sia in Sardegna che in Corsica; e le cause erano attribuibili principalmente alla riduzione delle foreste (anche per i continui incendi, ndr) e ad una caccia spietata, nonostante una legge statale del 1939 ne imponesse il divieto.
Il rischio di estinzione era talmente alto che, a fine anni 60, il cervo sardo venne inserito nella Lista rossa IUCN (animali in via di estinzione).
Interventi che purtroppo furono tardivi per la Corsica in cui, nel 1969, si registrò la definitiva estinzione. Un episodio funesto che, però, segnò l'inizio di un processo di salvaguardia promosso soprattutto dal WWF Italia e diffusosi in tutta la Sardegna anche grazie all'intervento di varie associazioni e volontari.
Un'iniziativa importante e determinante per il ripopolamento della specie nell'isola fu l'acquisizione da parte del WWF Italia della Riserva di Monte Arcosu, a metà anni 80. Ad oggi, quest'area rappresenta una delle oasi verdi protette più estese di Italia (3600 ettari) e comprende il territorio del Comune di Uta, Assemini e Siliqua.
Oggi la popolazione del cervo sardo viene monitorata e tutelata non solo con la "protezione" di intere aree verdi ma anche con vari interventi mirati come, ad esempio, la realizzazione di appositi prati per il pascolo, indennizzi statali agli agricoltori per coprire eventuali danni alle colture subiti durante il passaggio/pascolo dei cervi o la realizzazione di reti elettrificate e specifici dissuasori acustici.