La Rivolta di Pratobello è una delle rivolte popolari più conosciute messa in atto con il metodo della Resistenza Nonviolenta dai cittadini di Orgosolo (NU) nel giugno del 1969.
Varie inchieste e commissioni (es. Commissione d'inchiesta parlamentare sul banditismo in Sardegna) portarono avanti studi ed analisi per scoprirne le cause. E l'esito di tutte le indagini individuava la pastorizia come causa principale del banditismo. Quindi tutte le popolazioni della zona erano considerate "problematiche" e tendenzialmente avverse allo Stato.
Sulla base di questi studi lo Stato decise di “liberare” i sardi dalla morsa del banditismo incentivando ogni iniziativa che “allontanasse” la popolazione dalla pastorizia.
Una delle iniziative promosse fu il Piano di Rinascita, una serie di misure legislative speciali che miravano a finanziare l’industrializzazione nell’isola. In particolare venne finanziata, con fondi pubblici, la costruzione di due poli petrolchimici, uno a Porto Torres con l’imprenditore Rovelli, e l’altro a Sarroch, con i Moratti.
Ciò che accadde a Pratobello nel 1969 ha radice proprio in questo scacchiere politico-economico che miravano ad allontanare i sardi dalla pastorizia: un'intera area doveva trasformarsi in zona militare riservata agli addestramenti.
Le prime voci sull'arrivo dei militari a Pratobello iniziarono a circolare già nell'aprile del 1969.
Il 27 maggio del 1969 queste voci si concretizzarono. Infatti, sui muri del paese vennero affissi degli avvisi della Brigata Trieste in cui si avvisavano i pastori che operavano nella zona di Pratobello a trasferire il bestiame altrove perché, per due mesi, quell'area sarebbe stata adibita a poligono di tiro e di addestramento dell’Esercito Italiano. L’avviso era rivolto anche ai braccianti agricoli e alle loro attività.
Ciò che preoccupava di più in quel periodo era la voce che circolava in cui il Governo italiano, in realtà, mirava a trasformare quella zona in campo di addestramento e tiro permanente.
Per agevolare l'insediamento dell'esercito lo Stato aveva promesso per i due mesi di addestramento un rimborso di 30 lire per capo di bestiame. Ma come sottolineato dallo stesso Circolo giovanile di Orgosolo tale rimborso rappresentava una cifra troppo ridicola visto che lo stesso mangime, all’epoca, costava 75 lire al Kg.
Nei primi giorni del mese di giugno (8-18 giugno), da una parte, prefetti, questura di Nuoro, militari e le organizzazioni Alleanza Contadini, Coldiretti e Cgli cercavano di raggiungere un accordo con il governo, mentre Democrazia Cristiana e Partito Comunista proponevano l’invio di un telegramma unitario al Ministro della Difesa Luigi Gui e al sottosegretario Francesco Cossiga per scongiurare o limitare le esercitazioni della Brigata Trieste.
Dall'altra parte, il Comitato e il popolo orgolese indissero la prima assemblea per organizzare una manifestazione dimostrativa nei luoghi in cui erano previste le esercitazioni. Uno dei motti, in quella circostanza, era: “il terreno di lotta dei pastori non è il parlamento”.
Il 7 giugno, al termine dell’assemblea, venne deciso di portare avanti una lotta alla luce del sole, senza incontri segreti o riunioni a numero chiuso.
Una decisione che spinse sindacati e partiti a scontrarsi con il Circolo perché volevano mantenere le redini del gioco durante tutta la fase della trattativa con lo Stato.
Il 19 giugno iniziò la prima delle 6 giornate di Pratobello che coincideva con il primo giorno di esercitazioni.
Il primo "incontro" tra manifestanti e i militari avvenne a Duvilinò. Il "muro umano" che si costituì riuscì a bloccare sia i militari che la polizia giunta a supporto, i quali furono costretti ad indietreggiare.
Giunti a Pratobello, si attivò immediatamente il presidio e nessun militare riuscì ad effettuare le esercitazioni previste.
Emblematica nei ricordi della gente fu la scena in cui le donne raggiunsero i soldati, li fissarono negli occhi ed iniziarono a spiegare loro le (proprie) ragioni della protesta.
«I militari - spiega Nanni Moro del Circolo - iniziarono a vedere e vivere la protesta con gli occhi della popolazione locale». In quell'occasione tra militari e popolazione si instaurò qualcosa di inedito, di rispetto e comprensione.
I militari, infatti, impararono a conoscere la popolazione locale per quello che era e non per come era stata descritta dagli alti ufficiali per motivarli nella missione.
Quest'ultimi avevano etichettato i locali come “banditi” mentre, nella realtà, i militari scoprirono che la situazione era profondamente diversa. A tal punto che alcuni testimoni riportano l'incitamento degli stessi nel proseguire tenacemente con la protesta. Anche perchè, per loro, rappresentava un modo per tornare "prima" alle proprie case.
CIò che si svolse in quei giorni fu una rivolta senza sangue.
Il 20 giugno il gruppo di manifestanti tornò in zona esercitazioni. Un nuovo blocco tentato dai militari al bivio Sant'Antioco - Pratobello venne respinto dai manifestanti, costringendo i militari nuovamente a retrocedere.
In quell'occasione, come controffensiva, i bambini vennero incitati a tagliare tutte le linee telefoniche, mentre gli uomini e donne tentarono di sollevare le camionette a mano.
Il 21 e 22 giugno si registrò una tregua anche perché, durante il weekend, le esercitazioni erano sospese.
In quelle fasi, dal punto di vista strategico-politico, si cercava di isolare Orgosolo chiedendo l'appoggio dei comuni limitrofi come ad esempio Mamoiada e Fonni, che si schierarono a favore dei militari. Un appoggio semplificato ed agevolato anche dal fatto che gli espropri non ledevano gli interessi di questi comuni.
Già nelle prime ore del mattino del 23 giugno, intorno alle 4:30, la zona del poligono risultava bloccata da un massiccio schieramento di forze dell'ordine, costituito da poliziotti e carabinieri.
Nelle stesse ore, Orgosolo si mobilitava.
Da un lato i militanti si divisero in gruppi e cercarono di forzare le recinzioni per entrare nel poligono. Alcuni riuscirono a varcare le recinzioni e diedero fuoco ai bersagli che avrebbero dovuto usare i militari per le esercitazioni. Dall’altro lato, i militari diedero vita ad una vera e propria “caccia all’uomo” con carri armati ed elicotteri.
Durante tutta la giornata riuscirono ad arrestare centinaia di manifestanti e li portarono sia all’interno del poligono che nella questura di Nuoro per controlli ed accertamenti.
Una dura reazione che però non sortì gli effetti sperati. Anzi. La popolazione non si scoraggiò e non si fece intimidire.
Anche durante la giornata del 23 giugno non si registrarono esercitazioni.
Nella stessa giornata, durante quelle ore concitate, l'assemblea si riunì e decise di inviare a Roma una delegazione composta dagli onorevoli Ignazio Pirastu (Pci), Carlo Sanna (Psiup) e Gonario Gianoglio (Dc). A loro si aggiunsero tre pastori, un bracciante, un camionista, uno studente del Circolo democristiano e il presidente del Circolo giovanile.
Nel verbale di quell'assemblea venne sottolineato un messaggio chiaro: “La delegazione riceve il mandato di discutere, ascoltare, trattare ma non di decidere”.
Anche il 24 giugno, nessuna esercitazione.
Nonostante l'interesse e l'attesa dell’esito della trattativa che si stava svolgendo a Roma, la protesta e la lotta continuarono sul "campo".
In quella giornata si diffuse fra i manifestanti la lettera di Emilio Lussu indirizzata al presidente della Regione, Del Rio.
Poche parole ma efficaci, apprezzatissime da tutti i manifestanti:
"Quanto avviene a Pratobello contro pastorizia e agricoltura è provocazione colonialista, perciò mi sento solidale con pastori e contadini.
Rimborso danni e premio in denaro è un offensivo palliativo che non annulla, ma aggrava l’ingiustizia.
Se fossi in condizioni di salute differenti sarei con loro."
Il 26 giugno si registrò, forse, una delle giornate più intense della lotta.
L'area delle esercitazioni venne spostata in una zona impervia, difficile da raggiungere anche dalle camionette delle forze dell'ordine. Infatti, quando quest’ultimi riuscirono a raggiungere l’area, si ritrovarono davanti un presidio pieno di gente.
Alcuni caschi blu cercarono di inseguire e catturare alcuni gruppetti di manifestanti che si infilarono lungo i costoni scoscesi del Supramonte. I primi segni di stanchezza però cominciarono a manifestarsi, soprattutto, da parte dei militari.
Durante la fuga i manifestanti iniziarono persino a lanciare dei volantini indirizzati ai militari in cui c’era scritto: “Quanto ti paga il tuo padrone Rovelli per inseguirci?” (Nino Rovelli era l'imprenditore brianzolo che si insediò a Porto Torres con il suo polo petrolchimico, grazie ai finanziamenti pubblici).
Una dura e snervante lotta che faceva leva sulla psiche delle forze dell'ordine.
Il 27 giugno la delegazione fece ritorno in paese e molti manifestanti lasciarono la zona della protesta per ascoltare le novità.
La posizione del ministro della Difesa Gui, presentate dal sottosegretario Francesco Cossiga, furono:
- il poligono è temporaneo ed andrà avanti fino alla metà di agosto;
- nessuna decisione verrà presa per trasformare il poligono in un’istituzione permanente
- qualsiasi altra scelta di zona per le esercitazioni seguirà la procedure standard stabilite dalla legge;
- la decisione finale verrà sempre presa con l'accordo delle amministrazioni locali, nel rispetto dell'ambiente e sviluppo sociale
- compito dei militari sarà sempre l'obbligo di limitare lezone di poligono e i disagi creati nella zona.
Con queste condizioni, accettate dall'assemblea, si chiusero le sei giornate in cui Orgosolo tenne sotto scacco lo Stato a Montes, Funtana Bona, Duvilinò e Pratobello.
Una lotta di popolo “non violenta” alla quale partecipò tutto il paese in difesa dei propri diritti e del proprio territorio. Questi eventi rappresentarono una vittoria della popolazione locale e la dipartita dei militari.
Pratobello è un piccolo borgo che avrebbe dovuto ospitare migliaia di militari e, a tal fine, erano state costruite case, scuole e persino una chiesa.
Dopo la rivolta, e la "resa" dello Stato, il poligono venne smantellato e la zona completamente abbandonata.
Oggi, infatti, Pratobello è considerato un paese fantasma fatto di macerie, strutture diroccate e un paio di murales "storici" che ricordano quel famoso evento (vedi le foto nella gallery).
(*) Emilio Lussu (Armungia, 4 dicembre 1890 – Roma, 5 marzo 1975) è stato uno scrittore, militare e politico italiano, eletto più volte al Parlamento e due volte ministro; fondatore del Partito Sardo d'Azione e del movimento Giustizia e Libertà. Antifascista.
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Riferimenti /Ringraziamenti
Fontiwww.sardegnaabbandonata.it
www.sardiniapost.it
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